a cura di Arianna Beretta e Francesca Pergreffi
circoloquadro, Milano, dal 4 al 30 aprile, 2014
spazio Meme, Carpi, dal 17 maggio al 21 giugno, 2014
un mio testo che è nel catalogo "Agnese Skuijna. La possibilità di un luogo"
PARLANDO CON AGNESE …
Francesca: “ In questo momento sento che il
tema della natura è più forte di me, è come un prurito interiore che non mi dà
pace, da cui non riesco a scappare. La natura è l'unica idea assoluta, l'unica
idea che resta per sempre, un punto fermo. E sento che in qualche modo dando
forma e colore a quest'idea, la natura, riesco ad avvicinarmi a me stessa,
riesco a conoscermi meglio... ”.
Agnese, a partire da queste tue parole, vorrei
capire il rapporto simbiotico e conflittuale, che hai con la Natura. Come
avviene la scoperta di te, la tua conoscenza, e il tuo ri-trovarti attraverso
la creazione formale della natura?
Agnese: Con quelle
parole intendevo semplicemente che, dipingendo la natura, in qualche modo ricavo
le sensazioni di un ritorno o riesco a ricongiungermi a quei luoghi che in
passato, per un motivo o per l'altro, mi hanno toccato dentro. Che mi hanno
dato qualche emozione forte o fatto provare sensazioni prima sconosciute. È
come se con la pittura potessi compiere un viaggio in quei posti che sono i
posti della mia terra e quindi della mia identità. È così che riesco a
ricordare che è grazie a quei luoghi che io sono quello che sono.
F: Il tuo processo creativo viene definito da
te “meditativo”: “... le
immagini nascono intuitivamente, la mano segue il lavoro dell'intuizione. La
mia sensazione è che quando lavoro la mente non partecipa nel processo. La mano
supera la velocità della mente. La mano corre e la mente cerca di catturarla,
ma non ci riesce. E io lascio correre la
mano”. Vi è comunque una sincronia tra la tua mente e la tua mano o
solo un rincorrersi? Quand'è che la mano si rassegna alla mente ... se si può
parlare di rassegnazione …
A: Il lavoro su questi
paesaggi l'ho percepito tanto come meditativo. Probabilmente perché è una
realtà che conosco così tanto che riesco a non pensare alle linee e alle forme.
E lo stesso accade con la scelta dei colori, che in realtà non è una scelta, li
accosto come sento, senza pensarci. Forse perché so che con la natura non puoi
sbagliare perché là esistono tutti i colori e tutte le forme.
Penso che c'è sempre
sincronia tra mente e mano, quello non puoi evitarlo. Quando la mano si ferma,
la mente si accende e comincia ad analizzare la composizione, i colori, e così
via. Ma quello che volevo dire è che dipingendo questa serie di quadri ho
percepito qualcosa che mai avevo sentito prima.
Per spiegarti meglio forse può essere utile descrivere il mio modo di
lavorare. Io lavoro-dipingo a terra, mi chino e così avverto la sensazione di entrare nell'area
del quadro che sto realizzando, su cui sto applicando i livelli di colore. Il
processo, in teoria, può sembrare un po' cieco, però mi dà davvero la forte
impressione di allontanarmi da tutte le mie conoscenze. Stando seduta a terra,
la superficie del quadro è davvero molto vicina a me, quindi non riesco a
vedere bene l'aspetto della composizione, le linee e le forme. Ci vuole una
certa distanza. Quando mi alzo, comincio ad analizzare quello che ho fatto, poi
mi risiedo e continuo. Il lavoro della mente, comunque, continua anche quando
esco dallo studio, in qualche modo lo porto sempre con me.
F: Guardando i tuoi
lavori, percepisco sempre e comunque un equilibrio perfetto, un'armonia
totale. Nulla è lasciato al caso, ogni
cosa è perfettamente orchestrata.
Dopo aver letto le
riflessioni che fai sul tuo processo creativo intuitivo e guardando i tuoi
lavori, in un primo momento mi è sembrato di cogliere il paradosso: di una
visione finale degli elementi accordata e ponderata ottenuta mediante il flusso
intuitivo. Poi guardando e riflettendo ulteriormente ho capito che forse il paradosso non esiste,
perché la consonanza nelle opere si
ottiene proprio dalla libera accoglienza
delle proprie pulsazioni interiori: “il mio processo di pittura è anche meditativo, somiglia al mandala
buddista, dove le forme, le variazioni del colore sgorgano da motivazioni
interiori. Il processo nasce dall'urgenza di dare espressione e forma a
qualcosa di nuovo, unico.” , bisogna quindi dare ascolto e libertà a queste urgenze?
Se è cosi, come avviene il controllo dell'opera, quando
ottieni la visione finale? Dal momento
che tu sei propensa ad accogliere e a valorizzare la casualità e l'imprevisto
nel fare, e ami “quando il quadro si
fa da solo”, non ti è più difficile,
stabilire la fine del processo creativo di un'opera?
A: Le casualità per me sono uno strumento di
lavoro. Cerco di lasciarle accadere, non mi oppongo. Casualità che spesso sono
semplici gocce di colore che cadono sulla
superficie, un colore che asciugandosi cambia il suo tono (che è una
caratteristica dell'acrilico). Le casualità spesso mi guidano, mi danno idee.
In qualche modo mi aiutano a creare l'immagine. Per esempio fisso l'orizzonte
sulla linea delle gocce di colore. Dall'area di colore applicato liquido e poi
asciugatosi irregolarmente creo un lago.
Io sono abituata a lavorare su molti quadri
contemporaneamente, il lavoro va a cicli. Lavoro su alcuni quadri, non
guardando altri, poi ritorno a quegli altri e dimentico i precedenti. Per
capire se un quadro è finito mi aiuta una pausa, cerco di non guardarlo, di
dimenticarlo per un po'. Però iniziare un quadro nuovo è sempre più facile per
me, più interessante perché è una cosa fresca, una storia nuova. Il quadro
nuovo spesso porta una idea nuova ed è
un generatore di altre nuove idee.
F: Agnese, il tuo
lavoro è estremamente autobiografico, si scorgono frammenti di paesaggi
esistenti ai quali tu hai ridato vita;
luoghi possibili nell' ora in cui “i
pensieri smettono di volare. E scendono.”. Si può parlare di astrattismo
concreto?
A: Si, nel che nei
miei quadri metto insieme pezzi esistenti creando qualcosa di non esistente, o
forse esistente.
Amo gli spazi della
natura dove ancora si sente la superiorità della natura sopra uomo. Quei posti
mi danno la sensazione di essere in un tempio. Sono posti magici, l'aria sembra
pulsare; tutto intorno è vivo, si muove. Il silenzio di tutto ciò, che non
è per niente tranquillo, non è per niente silenzioso. Voglio portare nel miei quadri un po' di
questa magia. Io amo le ore prima del sorgere del sole e quelle del primo buio.
F: Senza entrare nel
merito di cosa s’ intende per opera d'arte, poiché entrano in campo molte
variabili, tra cui la cultura e il
gusto, ma parlando più in generale, per te che funzione ha l’opera d'arte oggi?
Te lo chiedo perché in questo periodo é un interrogativo
sul quale sto riflettendo: è un mio pensiero costante.
La mia aspettativa è
quella di trovare nell'opera d'arte: una
connessione tra l’opera e l'artista, tra l’opera e chi la guarda, tra l’opera e
il mondo. E una volontà comunicativa.
Inoltre, a mio
avviso, l'opera deve essere portatrice di
un pensiero. Deve rifuggire dal mero esercizio di stile, noioso e autocelebrativo che sfocia spesso nel
manufatto artigianale e nella decorazione
nonché dalla sterile esigenza del mercato. Altrimenti non capisco il suo
senso nel mondo. Tu come la pensi ?
A: Certo che un'opera
deve portare un messaggio, in qualche modo deve essere come una traccia che
attraversa l'uomo e lo ferisce positivamente, cioè aumentando la sua
consapevolezza. L’importante è che l'opera d'arte crei un sommovimento
emozionale/intellettuale dentro l'uomo arricchendo il suo mondo interiore. A
volte può avere addirittura la forza di dare risposte o far capire qualcosa.
Una volta, dopo aver osservato per lungo tempo un mio quadro, una donna mi
disse: “Nei tuoi quadri rivedo le mie paure”. È capitato diverse volte che mi
abbiano detto che i miei quadri sono inquietanti e lo dicevano quasi
scusandosi. Ma io ringraziavo perché sono anche quelli i complimenti che voglio
ricevere, forse quelli che preferisco.
L'artista è come un lucchetto tra
la spiritualità-anima e l'artigiano, appeso a quello che succede nel mondo. Se
manca l'anima, l'opera sta ferma lì, muta, diventa un oggetto con cui coprire
un buco nella parete o sopra il quale tagliare le cipolle e, per carità,
servono pure quelle cose. L'insieme di questi oggetti influenza l'intelligenza
comune. Per me l'arte è una cosa serissima, non è un
gioco o un divertimento.
F: In quanto artista
ti senti una responsabilità nei confronti del mondo?
A: Molto. Più il tempo
passa più mi sento responsabile. Sento che devo essere onesta nei confronti del
mondo, nei confronti dell'arte, nei confronti di me stessa. La mia
responsabilità è fare le cose che
considero coerenti con la mia interiorità. Ascoltare più me stessa che gli
altri. Cerco di superare la paura di andare in una direzione sconosciuta. Cerco
di dimenticare completamente gli spettatori e o il pubblico che poi guarderà
miei lavori. È questo tentativo di coerenza, onestà e indipendenza, la mia
responsabilità.
Una volta, dopo aver osservato per lungo tempo un mio quadro, una donna mi disse: “Nei tuoi quadri rivedo le mie paure”. È capitato diverse volte che mi abbiano detto che i miei quadri sono inquietanti e lo dicevano quasi scusandosi. Ma io ringraziavo perché sono anche quelli i complimenti che voglio ricevere, forse quelli che preferisco.