sabato 15 febbraio 2014

Arianna Vairo, "Confabulazioni".

Arianna Vairo è una ragazza febbrile sempre in movimento con i piedi, con gli occhi, con la mente, e dopo aver fagocitato il mondo, si sofferma e lo ri-elabora.
Questa sua famelica febbre la conduce sempre a nuovi lessici e nuove grammatiche; la personale CONFABULAZIONI ne è un esempio. Arianna ha sentito il bisogno e il desiderio di affrontare una nuova personale struttura narrativa ed ha dato il via ad una serie di “esperimenti”, come lei li definisce.
Gli “esperimenti” che compongono CONFABULAZIONI, sono prismi dai colori vibranti e contrastati, che si relazionano l’uno all’altro e mutano sotto lo sguardo di chi li guarda.
Qui di seguito la mia intervista ad Arianna Vairo.
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Il titolo della mostra è “Confabulazioni”, disturbo psichico che a volte porta con sé atteggiamenti euforici di tipo infantile. I tuoi nuovi lavori colmano le lacune della mente inventando dei falsi ricordi, o semplicemente offrono una visualizzazione altra del ricordo, delle sfumature sfuggite o punti di vista differenti?Il titolo è un espediente, un contenitore dentro cui poter plasmare ricordi veri, falsi ricordi ed immagini mentali. Più che al disturbo vuole rifarsi al meccanismo di costruzione di associazioni, come un circuito non lineare.
La luce propria dell’illustrazione è come fosse il ricordo, il pensiero, entra dentro la griglia che permette la narrazione nel fumetto, come fosse un prisma, e si scompone, per essere poi ricomposta da chi guarda, secondo la propria “esperienza”, memoria e sentimento.
Come è nato il ciclo dei tuoi nuovi “esperimenti”?È nato da speculazioni sulla narrazione, dal desiderio d’immagini cinetiche all’interno delle quali far muovere diversi elementi, velocemente, come fossero associazioni di pensiero che si concatenano l’una all’altra per formare una sensazione, un ricordo.
Il primo approccio è stato molto libero, e ho cercato tutte le condizioni per essere comoda e ascoltare l’intuizione: nessuno schizzo, grandi dimensioni, nessun limite di colore.
Poi ho iniziato a inserire negli esperimenti qualche condizione, provando a illustrare un testo, o proseguendo in una serie, oppure eseguendo un ritratto.
In una terza fase sto prendendo testi o riferimenti reali per poi riportarli all’immagine senza condizioni narrative, o illustrative, unendo in qualche modo le due fasi precedenti.
Nei tuoi ultimi lavori vi è una narrazione concentrata, un micro/ racconto, che prende le distanze sia dalla tavola del fumetto, sia dall’illustrazione e tenta una nuova strada. Nelle tavole i corpi non sono più i soli protagonisti della scena, lo sfondo avanza e si fa pieno di elementi dettagliati. Non si può parlare di sfondi, sarebbe riduttivo, ma di piani dell’immagine dove tutto concorre in maniera egualitaria alla comprensione e visione totale del soggetto. Qual’è dunque la tua nuova strada? Mi vuoi parlare dell’assetto narrativo?Sono alla ricerca del movimento nell’immagine. Il fumetto è il linguaggio grafico che più si avvicina al cinema (a sua volta linguaggio che più cerca di avvicinarsi alla lettura del movimento della vita); mentre l’illustrazione ha la capacità di penetrare l’inconscio, l’irrazionale e di portarli a galla; trasmettere il surreale, l’iper-reale, o l’onirico.
Non sto cercando una struttura narrativa lineare ma costituita da molti piani, nei quali potersi muovere per passare da uno all’altro senza spiegazioni e mescolare diverse dimensioni (temporali ad esempio) in un’unica spaziale.
Dov’è collocata la percezione dello spettatore nella struttura del lavoro?La percezione dello spettatore può riconoscere gli elementi che preferisce, il piano di lettura in cui si sente più comodo e attivarsi, come di fronte a un simbolo, non ricevere il micro racconto, ma ricostruirlo attraverso la composizione degli elementi, in libertà.
Il colore trionfa ed è disposto a contrasto. Hai utilizzato acrilico e gouache, che conferiscono all’opera un aspetto compatto, uniforme e vellutato dai toni brillanti. Mi spieghi questa scelta?Da sempre ho dato molta attenzione ai materiali con cui lavoro, non si può fare a meno di ascoltare la materia per viverla come una compagna e non come un impedimento. Nell’incisione questo processo artistico è molto chiaro: la sintesi di un concetto, o di un’immagine mentale completamente libera deve passare attraverso il legno, il linoleum o il metallo per farsi segno, perciò è inevitabile la necessità di conoscere i materiali, di rispettarne tempi e condizioni, e soprattutto essere presenti e pronti nel momento dell’azione per cogliere i cambiamenti e gli eventuali errori.
In questo caso, il mettermi di fronte una palette molto ampia è servito a stimolare il mio ascolto: l’acrilico ha tempi di asciugatura brevissimi ed è completamente coprente, perciò permette di poter continuare a costruire raccogliendo l’errore e di utilizzarlo come nuovo spunto.
Visivamente i colori risultano a contrasto entrando in relazione tra loro, proprio perché ogni colore esce dall’altro.
Francesca Pergreffi