sabato 15 febbraio 2014

Marco Demis, "Nuvole".

Il lavoro di Marco Demis si fonda sulla tensione fra l’espressione e il non detto. I soggetti sono bambine, ritratte come bambole aristocratiche dalla pelle color latte, dagli abiti retrò e dallo sguardo languido e stupito. Una umanità ingenua e ambigua, colta nella sua intima fissità priva di referente. Le figure sono sospese in uno spazio cupo e indefinito, sovrastato da un cielo plumbeo, privo di avversione o familiarità. Gli alberi sono secchi arabeschi, il terreno è freddo e coperto di brina, le case sono vuote e lontane. Ideali senza essere astratti, i soggetti si rapportano talvolta ad oggetti singolari e simbolici, dall’enigmatica utilità. Vecchi giocattoli di legno, gabbie di ferro, contemporaneamente vicini e distanti dal soggetto.
Nelle opere emerge una apparente ripetizione sul piano dei contenuti. La confidenza col linguaggio nasce dalla ricorrenza, conoscere è ri-conoscere. E il valore del soggetto ripetuto non sta nella sua identità (non ne possiede una) ma nel suo differenziale. Si evince in questo modo la qualità nella variazione dallo stesso tema, la bellezza da un criterio di confronto che vuole essere oggettivo. Cosa che invece non succede nel soggetto “inusuale”. L’insistenza sul soggetto che diventa “usuale” permette di far scaturire quella che Derrida definisce la “differenza irriducibile”. In mancanza di una costrizione, di una serialità la differenza è indifferente.
La personale raccoglie una serie di opere su carta, intitolata “Nuvole” per l’apparente levità dei temi, l’agilità del segno, l’aggrovigliarsi di segni cupi e leggeri. A differenza dei lavori su tela la scrittura pittorica si fa più briosa e licenziosa, incespicando divertita in tratti infantili.
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Quanto influisce sul tuo lavoro la tua “natura” d’architetto?
Mi interessano molto il discorso fra struttura e decorazione, la concezione simbolica dello spazio e del paesaggio.
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Che significato ha per te la parola “epifania”?
Credo che l’opera seduca in quanto “apparizione”. Guardando i miei soggetti risulta difficile delineare nell’immediato un episodio, un racconto. Cerco di congelare la rappresentazione, suggerendo soltanto con oggetti simbolici. Non amo cadere nella descrizione o nella narrazione.
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“simulacro“?
Baudrillard definisce il simulacro (eidôlon) una “verità che nasconde il fatto che non ne ha alcuna”. Il lavoro mi aiuta a idealizzare e classificare la collezione di relazioni personali, ordinata ed insensata.
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Come vivi l’errore, lo comprendi e valorizzi o lo rifug
gi?
L’errore non fuoriesce da una visione ordinata dell’insieme, consiste anzi in una divagazione che permette di sottolineare nella sua differenza l’equilibrio della composizione.

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In questo periodo storico che ruolo ha, o dovrebbe avere l’arte per te?
L’arte mi permette di avere un forte senso di appartenenza, negando la stessa.
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[Francesca Pergreffi Gennaio 2012]