sabato 15 febbraio 2014

Giuseppe De Mattia e Francesco Locane, "Una leggera corrispondenza".

Avete voglia di raccontarmi come nasce il vostro progetto e come si articola?Tutto nasce da una convivenza in una casa di studenti universitari, anni fa, durata per un paio di anni. Da quando abbiamo lasciato quel tetto comune, per i casi della vita, ci siamo sempre avvicinati e persi di vista subito dopo. Ci siamo sempre “seguiti”, anche se a distanza. La corrispondenza del titolo è nata dall’esigenza di stabilire un contatto, ognuno con il proprio linguaggio. E così è nato questo progetto.
Il tutto parte prima dalla parola scritta? Dall’immagine? O non esiste un prima o un dopo e per coincidenze remote s’incontrano e “nascono” insieme?Sin dall’inizio ci siamo posti l’assenza di regole e di scadenze: ma, di fatto, sono state le fotografie a “stimolare” il racconto, tranne che in un caso. Questo però non è così importante. Il fatto è che comunque il racconto era poi inteso naturalmente come una “fotografia mancata”, una fotografia accanto alla fotografia. Una fotografia della fotografia. D’altro canto spesso le immagini hanno influenzato la focalizzazione, non necessariamente legata al punto di vista della fotografia: molti dei personaggi dei racconti nascono da uno sguardo attraverso il quale i personaggi stessi sono stati narrati.
L’immagine fotografica nella tavola è collocata prima del testo: è un’indicazione di lettura da parte vostra per lo spettatore?In genere vogliamo dare la massima libertà di lettura alle opere esposte. Come abbiamo detto, spesso il testo è nato dall’immagine: ecco perché quest’ordine. Ogni racconto nasce dall’individuazione di una sorta di punctum, poi trasformato in spunto per una storia breve che talvolta ha rispecchiato lo stato d’animo che Locane aveva al momento della ricezione. E dal momento della ricezione passava del tempo e quindi il racconto risente anche del trascorrere di questo tempo. Una delle volontà della mostra è dimostrare l’esistenza di un limite della fotografia, che sottostà alla riflessione rapida prima dello scatto. Al contrario, il testo ha tutto il tempo di svilupparsi, dalla ricezione del testo, alla sua stesura, alla sua correzione, ecc. La casualità del testo (in quanto elaborato da un’altra persona rispetto all’immagine) restituisce all’immagine qualcosa che la arricchisce.
Mi colpisce molto l’equilibrio delicato che avete creato in ogni tavola; ogni cosa è necessaria e autonoma al contempo, dialoga con l’altra rimanendo fedele alla propria struttura-natura; ogni elemento concorre discreto e silenzioso per dare una visione unitaria finale … mi ricorda molto una partitura musicale… Esiste, a prescindere dalla natura del progetto, un filo conduttore tra le varie tavole-mondi? Vi è insomma un’altra partitura che orchestra il tutto?Esistono partiture infinite! Ognuno vede e applica il registro che ritiene migliore per godere la coppia testo/fotografia. Il testo è oggettivo e dice quello che c’è scritto, ma la fotografia no, quella si può leggere come si vuole. Il testo suggerirà una lettura che sfonda i limiti della fotografia, ma ognuno poi può ulteriormente sconfinare dai limiti dell’immagine.
Vi ho visto un’ulteriore “leggera corrispondenza”, un gioco di rimandi infinito dove ogni tavola, così come ogni singolo pezzo scritto e ogni singola immagine fotografica può esistere autonomamente ma non sceglie di farlo, per far parte di un nuovo mondo necessita dell’altra senza snaturarsi. L’uso del passepartout tra immagine fotografica e testo serve a rimarcare sia “una leggera corrispondenza” sia la natura dei differenti medium?Il passepartout è un elemento che cerca di uniformare e non di dividere i due linguaggi. La finestra ha quasi le stesse dimensioni e il testo è parte integrante dell’opera. È opera stessa, indivisibile dall’immagine. Per accentuare la singolarità del testo, questo è dattiloscritto e quindi si tratta di un unicum, irripetibile nella stessa forma. È più unico dell’immagine che invece è riproducibile all’infinito se solo si volesse. Siamo abituati a vedere il testo abbinato alla fotografia solo come didascalia e quindi come testo esterno alla cornice, qui è il contrario.
La scelta delle cornici di legno naturale sembra riecheggiare una sensazione di calore quasi a voler porre l’accento sul mondo privato che racchiude ogni tavola …Esattamente. Il legno naturale, senza nessuna vernice, nemmeno trasparente, riporta questi oggetti a una dimensione calda, domestica e familiare, così come questa corrispondenza.
Che colonna sonora suggerite per la visione di Una leggera corrispondenza?La colonna sonora che il musicista Egle Sommacal ha composto per ogni singola coppia. La corrispondenza del titolo si è rafforzata ulteriormente quando Egle ci ha fatto sentire i brani per la mostra. Giuseppe ed io ci siamo trovati immediatamente d’accordo sull’accoppiamento musica-storia: richiamavamo alla mente la coppia a cui ci riferivamo usando indifferentemente riferimenti alla foto o al testo che la componevano.
Grazie per tutto …Grazie a voi!
Francesca Pergreffi